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Compravendita di Immobile con Abuso Edilizio: L’esperto risponde

24 dic 20194 min. di lettura
Fabio SalvoFabio Salvo

A cura dell’Avv. Maurizio Tarantino


Cosa succede se si acquista una casa con un abuso edilizio e lo si scopre dopo la firma del compromesso o del rogito notarile? La vendita è valida o nulla? Quali tutele per l’acquirente?

Questione. Può accadere che chi ha acquistato un fabbricato venga a conoscenza, solo in un secondo momento, del fatto che il suddetto immobile è, in tutto o in parte, abusivo dal punto di vista urbanistico-edilizio, nel senso che l’edificio risulta essere stato realizzato in maniera difforme rispetto al progetto a suo tempo approvato dall’Amministrazione comunale.

La risposta della giurisprudenza.  In merito al tema trattato, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza del 22 marzo 2019, n. 8230) ha fornite alcune risposte in merito al quesito in esame.

a) La commerciabilità dell’edificio.

Nella pronuncia si specifica che:

  • l’edificio abusivo non è commerciabile solo se non esiste un titolo edilizio che ne abbia assentito la costruzione oppure se nel rogito venga falsamente dichiarato l’avvenuto rilascio di un titolo edilizio invero inesistente;
  • se invece esiste un titolo edilizio e il manufatto è stato realizzato con variazioni (essenziali o non essenziali), l’edificio è commerciabile.

b) La menzione del titolo urbanistico.

Secondo i giudici di legittimità in caso di vendita di un immobile abusivo:

  • quando il rogito notarile contenga la menzione del titolo urbanistico, rende il contratto valido anche se le condizioni dell’immobile, in concreto, sono diverse dal predetto titolo proprio a causa della presenza dell’abuso;
  • la menzione della licenza edilizia consente all’acquirente di verificare se il bene che sta per comprare è conforme o meno alla licenza stessa. Gli permette, quindi, l’opportunità di accertare l’esistenza di abusi, per cui il contratto è valido;
  • la funzione della menzione del titolo edilizio nell’atto di acquisto, menzione imposta dalla legge, non è vietare la “stipulazione di atti aventi a oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente inutilizzabili”, ma solo “la comunicazione di notizie e la conoscenza di documenti”. Di conseguenza, la menzione ha “valenza essenzialmente informativa” dell’acquirente in merito all’esistenza del titolo edilizio richiamato.

c) La nullità del contratto. Deve considerarsi nullo l’atto che non contenga la dichiarazione dell’alienante con gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria (salvo conferma di cui al comma 4 dell’art. 46 T.U. edilizia) con l’aggiunta che tale dichiarazione deve essere veritiera: il “titolo deve realmente esistere e, quale corollario a valle, che l’informazione che lo riguarda, oggetto della dichiarazione, deve esser veritiera”, vale a dire che deve esistere e riferirsi correttamente all’immobile oggetto dell’atto. La dichiarazione mendace va assimilata alla mancanza di dichiarazione.

d) La validità del contratto. Diversamente, in presenza della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.  In tal caso, l’atto non è nullo; invero, è valida la compravendita dell’immobile difforme dal permesso di costruire se nell’atto è riportata la dichiarazione dell’alienante con gli estremi del titolo urbanistico. La nullità, infatti, si ha solo se non esiste un titolo che ne abbia fondato la costruzione oppure se nell’atto venga falsamente dichiarato il rilascio di un titolo edilizio in realtà inesistente.

 

Quali tutele per l’acquirente? Nonostante il citato intervento della Cassazione della validità del contratto, secondo i giuristi, un rimedio – più tradizionale – che continua, invece, a risultare praticabile è quello disciplinato dall’art. 1489 c.c., il quale stabilisce che “Se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell’art. 1480″. 

La norma citata disciplina le ipotesi di c.d. “evizione limitativa”, che si distingue dalla “evizione parziale” – regolata all’art. 1484 c.c. – perché quest’ultima incide in maniera quantitativa, comportando il mancato acquisto di una parte del bene, mentre l’evizione limitativa incide, invece, dal punto di vista qualitativo, in quanto il diritto acquistato non può essere esercitato in tutta la sua potenziale espansione. L’art. 1489 c.c. mira, infatti, a tutelare l’acquirente dall’inesattezza giuridica della prestazione dovuta, a causa dell’esistenza di oneri e/o diritti di godimento altrui, non apparenti o conosciuti, che limitano il godimento del bene acquistato.

Difatti, allorquando la compravendita abbia per oggetto un immobile costruito in difformità del progetto edilizio approvato, non si ha nullità del contratto per illiceità o impossibilità dell’oggetto né vizio della cosa venduta, secondo la previsione dell’art. 1490 c.c., non vertendosi in tema di anomalia strutturale della cosa stessa, bensì si verifica una fattispecie riconducibile al paradigma dell’art. 1489 c.c. per il quale il compratore può chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, quando la cosa risulti gravata da oneri o diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscano il libero godimento “( Cass., Sez. II, 6 dicembre 1984, n. 6399).

Ed ancora, in tale situazione, secondo altro orientamento, l’acquirente può rivalersi contro il venditore per chiedere: il risarcimento del danno, solitamente rapportato ai costi necessari per sanare il fabbricato e alle altre eventuali spese conseguenti; oppure, nei casi più gravi, addirittura la risoluzione del contratto, con la contestuale condanna del venditore a restituire il prezzo della compravendita e a risarcire ogni danno ulteriore (Cass., Sez. II, 23 ottobre 1991, n. 11218).

 

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